Vogliamo Aya Ashour in Italia: la guerra non tolga il diritto allo studio ai giovani palestinesi
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Ministero degli Affari Esteri
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Vogliamo Aya Ashour in Italia: la guerra non tolga il diritto allo studio ai giovani palestinesi

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Il Fatto Quotidiano
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Pubblicata il 20/12/24

Aya è bloccata a Gaza, bisogna consentire a lei e agli studenti palestinesi di venire in Europa per proseguire i loro studi: la Farnesina faccia pressione su Israele per riaprire Rafah

I lettori del Fatto quotidiano conoscono Aya Ashour. Ne conoscono la scrittura e il coraggio, la capacità di raccontare e la voglia di vivere, nonostante tutto: e il tutto è che da ottobre 2023 è imprigionata a Gaza con la sua famiglia, e che ogni giorno rischia la vita. Più volte ha raccontato di essersi trovata in situazioni di grande rischio, anche in mezzo a un fuoco incrociato di droni e carri armati, tra corpi che cadevano e proiettili ovunque: è viva per miracolo. Aya ha 23 anni e si è laureata in diritto internazionale (titolo della tesi: “Il ruolo delle donne nella sicurezza e nella pace, secondo la Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza: la Palestina come caso di studio”) pochi giorni prima che Israele iniziasse la sua guerra di sterminio. Da quando ne aveva 17, si è impegnata a difendere i diritti umani, soprattutto quelli dei bambini e delle donne, anche come educatrice in materia di diritto internazionale umanitario, violenza di genere e diritti dei bambini e delle bambine. L’Università per Stranieri di Siena – il cui rettore è Tomaso Montanari – ha invitato ufficialmente, diversi mesi fa, Aya Ashour come visiting scholar, perché possa continuare a studiare a Siena ciò che le sta a cuore: che oggi è soprattutto il trauma profondissimo del suo popolo. Aya potrebbe studiare in pace, in Italia: i docenti, gli studenti e le studentesse dell’Università per Stranieri e degli altri atenei italiani potrebbero ascoltare ciò che ha visto, sentito, studiato in Palestina. È per questo che esistono le università, infatti: per costruire contatti, conoscenza, esperienza comune al di là di guerre, nazioni, fili spinati.

L’Unistra ha già inviato mesi fa ad Aya il denaro necessario per il viaggio, chiedendo alle autorità consolari italiane in Israele di prepararle il visto: ma la risposta è stata che chi si trova imprigionato a Gaza deve uscire da solo, praticamente impossibile, e solo dopo (a questo punto al Cairo) può chiedere il visto. Ora –con mesi e mesi di attesa, in una situazione che, per quanto orribile da subito, peggiora continuamente, e visto che si infittiscono le occasioni nelle quali Aya può morire – dopo l’appello del rettore Montanari di qualche mese fa, anche il Fatto Quotidiano chiede pubblicamente al Ministero degli Affari Esteri Italiani di intervenire facendo pressione sulla comunità internazionale per ristabilire il diritto allo studio anche per chi vive nella Striscia di Gaza: se le università italiane, nella loro autonomia protetta dalla Costituzione, invitano ufficialmente qualcuno, dovrebbe esserci un impegno istituzionale perché questi inviti possano concretizzarsi. Ci sono altri casi identici, in questo momento. E il fatto che non parliamo di cittadini italiani, ma di ospiti delle nostre università, non dovrebbe fare la differenza. Anche perché la differenza può essere tra la vita e la morte.

Così ha scritto la stessa Aya Ashour sul Fatto Quotidiano il 17 novembre scorso: 

Avrei dovuto essere in Italia per completare la mia formazione, ma invece scrivo da questo luogo di sterminio, perché Israele non mi consente di lasciare la Striscia. L’Idf ha chiuso completamente il valico di Rafah ai viaggi, agli aiuti e al commercio il 7 maggio 2024 e io avrei dovuto essere a Siena dal 1° giugno. Mi sono specializzata in Diritto internazionale qui a Gaza l’anno scorso, ma adesso i miei sogni di viaggiare, completare la mia istruzione e sopravvivere a questo genocidio sono bloccati.
Questa non è solo la mia storia, ci sono migliaia di studenti che hanno perso le borse di studio per completare la loro formazione all’estero a causa della chiusura del valico di Rafah. Nessuno capisce quanto debba soffrire uno studente di qui nel cercare le borse di studio, nel fare domanda e nell’attraversare tutte le fasi per ottenere l’ammissione mentre internet e l’elettricità vanno e vengono. Israele priva gli studenti di viaggiare per completare il processo educativo: è chiara violazione del diritto all’istruzione. 

D’altra parte, 600 mila bambini sono stati privati dell’educazione scolastica a Gaza, hanno perso le loro scuole e i loro insegnanti allo stesso tempo, e migliaia di studenti universitari hanno perso le loro università e i loro professori. Ora vivono in mezzo a questo sterminio da più di 400 giorni. Ed è uno sterminio sistematico contro il processo educativo e formativo nella Striscia. Le biblioteche universitarie sono state bruciate, gli edifici scolastici e gli atenei sono stati trasformati in macerie, gli studenti sono in coda per l’acqua e il cibo invece che per entrare nelle aule. Nonostante questo, durante la guerra, a Gaza ong e volontari hanno “sostituito” scuole e università con campi educativi. Ho tenuto lezioni nelle tende e gli studenti universitari si sono dati da fare per costruirsi spazi educativi, per avere accesso a internet ed elettricità, e –immaginate – tutto questo mentre sopravvivono in luoghi che vengono bombardati giorno e notte e mentre molti di loro perdono la vita sotto razzi e macerie. Il movimento di solidarietà internazionale degli universitari ci ha fatto sentire meno soli. Abbiamo capito che c’è uno studente da qualche parte nel mondo che ci sente, ma ciò che è necessario ora per fermare questo sterminio – fino a quando 600 mila bambini potranno tornare alle loro case e alle loro scuole, e migliaia di studenti universitari alle loro case e alle loro facoltà – è ricostruire la nostra vita educativa e formativa. 

La comunità internazionale deve fare pressione su Israele affinché riapra il valico di Rafah in modo che gli studenti possano viaggiare e iscriversi alle università all’estero. Nessuno ha il diritto di confiscare il nostro diritto all’istruzione. Fino a quando Israele continuerà, invece, a confiscare i nostri diritti e a privarci dei più semplici desideri e sogni?

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